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Cosmopolitismo

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Messaggio  simonetti.angelo Dom Mag 11 2008, 17:31

Cosmopolitismo



Per
“cosmopolitismo” (da kosmos, ”mondo”, e poliths, ”cittadino”) si intende la “dottrina
che considera gli uomini cittadini di un unico Stato universale, senza
distinzioni ideologiche o razziali”, e per “cosmopolita” colui “che considera
sua patria il mondo e nutre interessi per le usanze e le idee dei luoghi più
diversi”. Il concetto che, come si vedrà, compare solo a partire dal IV-III
secolo a.C., implica dunque un particolare atteggiamento nei confronti
dell’idea di “patria”. La caratteristica principale della cultura greca, almeno
fino al tardo IV secolo a.C., era stata l’equazione “patria=città”. Fin
dall’età arcaica l’uomo greco concepisce se stesso innanzitutto come cittadino
di una determinata polis che
considera appunto come “patria”. significativi di tale identificazione sono i
versi iniziali del frammento 1D di Tirteo:


è infatti bello che muoia nelle prime file


un uomo valoroso,
combattendo pera la



propria patria;
invece avendo lasciato la



propria città e i
campi fecondi mendicare



è tra tutte la
cosa più vergognosa.




(Tirteo, fr. 1D.)



Un
ampliamento del concetto di patria lo si è avuto a partire dal V secolo a.C.,
quando le guerre persiane metto i Greci per la prima volta di fronte a un nemico esterno, che riescono a sconfiggere
grazie alla valorizzazione della loro unità di fondo. È in questo contesto che
Erodoto elabora il concetto di grecità, ma è con la sofistica che tale
ampliamento di prospettiva subisce un’accelerazione, favorita dalla giuntura
storica: i sofisti sono in genere stranieri che operano nell’età periclea, e
mentre da un lato elaborano il concetto di comunanza tra gli uomini,
dall’altro, seppur indirettamente, promuovono il ruolo di Atene come massima
rappresentante della grecità.


Con Isocrate
il mondo della polis intona il suo
canto del cigno: nel 338 a.C., dopo la battaglia di Cheronea, la Grecia entra a
far parte dell’impero di Filippo II e successivamente di quello del figlio
Alessandro, che conquistando gran parte del mondo farà scomparire ogni ragion
d’essere della polis . Per il
cittadino trasformato in suddito la città non è più una patria ma solo un luogo
di nascita. L’uomo ellenistico si trova dunque privo di punti di riferimento;
egli fa parte del regno che a sua volta fa parte del mondo ellenizzato, quindi
si trova in balia di forze incontrollabili e soverchianti(la Tuce). Questo cittadino-suddito si accorge
però che il suo pensiero può essere compreso da una comunità sterminata. C’è
dunque una nuova libertà che può passare attraverso l’elemento culturale, si
elabora il concetto di cosmopolitismo nel senso moderno del termine. La
tradizione attribuisce l’invenzione del termine, ora a Socrate, ora al filosofo
cinico Diogene il quale interrogato sulla patria risponde “kosmopoliths” (cittadino del mondo). Sono però gli stoici, già con il
caposcuola Zenone, a fornire una teorizzazione filosofica del concetto,
considerando l’uomo come parte di un cosmo armonico determinato dal logos universale, che poneva tutti gli
uomini sullo stesso piano. Questa associazione tra realtà storica ed
elaborazione filosofica, verrà esplicitata da Plutarco, riprendendo delle
affermazioni di Zenone, in un opuscolo dal titolo significativo, Sulla virtù o fortuna di Alessandro Magno:


…ma dobbiamo
ritenere che tutti gli uomini



siano
concittadini e compagni di demo, e che



unica è la vita e
unico il mondo…



(Plutarco,
Sulla virtù o fortuna di Alessandro Magno)



Plutarco è
un esponente di primo piano della cultura greca di età imperiale, un’epoca
dominata dalla potenza di Roma. Egli si trova a vivere una realtà simile a
quella creata da Alessandro Magno ma su scala ancora maggiore. La politica
espansionistica di Roma la porta inevitabilmente al cosmopolitismo che già
aveva caratterizzato l’età ellenistica in Grecia. Rispetto all’età ellenistica
l’imperialismo romano non porta alla formazione di regni indipendenti come
quelli dei diadochi, ma si basa sul potere unico dell’Urbs. Si torna quindi a discutere il concetto di patria, ma in
forma del tutto nuova. Ancora una volta è lo stoicismo a fornire gli strumenti
adatti a operare la necessaria sintesi tra potere e pensiero; emblema di questo
sforzo è Cicerone, il più stoico tra gli intellettuali romani del I secolo a.C..
Per Cicerone la stabilità di un impero dipende dalla sua
capacità di diventare “patria” per i dominati. Da questa riflessione deriva la
teoria delle “due patrie” esposta da uno degli interlocutori del dialogo Sulle leggi:


…credo che vi siano due
patrie, una di natura,



l'altra di cittadinanza…


(Cicerone,
Sulle leggi)



Seneca
riprendendo il concetto del cosmopolitismo lo propone come un antidoto al “mal
di vivere”, alla perenne insoddisfazione che travaglia l’uomo. Subito dopo di
lui, tra il I e il II secolo d.C., un altro filosofo stoico, il greco Epitteto,
torna in un certo senso alle origini dello stoicismo, trasferendo il tema su
piano metafisico della comunanza di natura tra uomini e dei. Il punto di raccordo
tra il pragmatismo senecano e l’idealismo di Epitteto viene fornito da Marco
Aurelio Antonino, imperatore romano seguace dello stoicismo e scrittore in
lingua graca. Per lui il cosmopolitismo basato su un principio intellettuale si
risolve in un’immagine politica:


…se l’intelligenza
è comune a noi uomini, è comune



anche la ragione
che ordina ciò che deve o non deve



essere fatto; se
così, è comune anche la legge…









A partire
dal III secolo d.C. il cosmopolitismo riguarda anche una nuova corrente
religiosa,il Cristianesimo. Furono i padri della chiesa a formulare una vera e
propria filosofia cristiana rielaborando la tradizione di pensiero precedente. Con
Agostino il concetto di “patria” cambia e si trasferisce dalla Terra al regno
dei cieli, portando il cosmopolitismo su un piano trascendente. La patria
terrena è dunque riflesso di quella celeste, e il mondo dell’uomo, creatura privilegiata
di Dio, non ha davvero più confini.


Nel corso
del tempo il concetto di cosmopolitismo ha perso gran parte della sua
originaria matrice filosofica. Prima l’Umanesimo e il Rinascimento hanno
riportano in auge l’idea di “fratellanza universale” nel nome della cultura,
poi le scoperte geografiche hanno imposto ancora una volta il confronto con il “diverso”,
che se da un lato hanno portato ai genocidi in nome della superiorità di una “razza”
o di una “religione”, dall’altra hanno portato anche a una riconsiderazione
dell’essere “uomo”. Il termine “cosmopolitismo” ricompare in modo massiccio
nell’ideologia illuministica, quando ormai l’avvento degli Stati moderni stava
favorendo la circolazione di uomini e idee. L’Ottocento segna una ripresa delle
istanze nazionalistiche e dei principi di autodeterminazione dei popoli. Oggi il
cosmopolitismo da un lato viene spesso considerato e vissuto come un residuo “romantico”
di un’idea di fratellanza umana che stenta a trovare dei riscontri oggettivi,
dall’altro è stato realizzato dalla globalizzazione. La possibilità quindi di
raggiungere qualunque luogo in poco tempo anche virtualmente, ha annullato i
confini globali, a costo però di
sacrificare la fondamentale componente umana,e umanistica, dell’idea originaria
di “cosmopolitismo”.

simonetti.angelo

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Messaggio  magisterium Lun Mag 12 2008, 01:34

Bene, si tratta di considerazioni valide che aprono ad altri approfondimenti e chiarimenti.
Non capisco se il tema fa parte della tesina o un tuo lavoro libero da finalità precise.

Smile
magisterium
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Messaggio  simonetti.angelo Lun Mag 12 2008, 22:17

Prof fa parte della tesina riguardo la crisi esistenziale, che nell'età ellenistica che si traduce anche nel cosmopolitismo.

simonetti.angelo

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Messaggio  magisterium Gio Mag 15 2008, 04:16

Va bene ...

Cool
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